martes, 19 de abril de 2011

"Il sentiero dei nidi di ragno", de Italo Calvino

Éste es el libro que vamos a leer en este primer cuatrimestre en mi curso de italiano. Sí, finalmente me decidí: le estoy haciendo "respiración boca a boca" a mi desfalleciente italiano, el que aprendí entre 1984 y 1989 en la Asociación Dante Alighieri y jamás volví a usar. ¡Peccato!

En el prefacio del libro, escrito por Calvino mismo, hay unos párrafos muy interesantes sobre el acto de escribir y la memoria. Me gustaría compartirlos con mis lectores:

"Questo romanzo è il primo che ho scritto [...]. Dirò questo: il primo libro sarebbe meglio non averlo mai scritto.

Finché il primo libro non è scritto, si possiede quella libertà di cominciare che si può usare una sola volta nella vita, il primo libro già ti definisce mentre tu in realtà sei ancora lontano dall'essere definito; e questa definizione poi dovrai portartela dietro per la vita, cercando di darne conferma o approfondimento o correzione o smentita, ma mai più riuscendo a prescinderne.

E ancora: per coloro che da giovani cominciarono a scrivere dopo un'esperienza di quelle con 'tante cose da raccontare', il primo libro [...] brucia il tesoro de la memoria; [istituisce] di prepotenza un'altra memoria, una memoria trasfigurata al posto della memoria globale coi suoi confini sfumati, con la sua infinita possibilità di recuperi... Di questa violenza che le hai fatto scrivendo, la memoria no si riavrà più: le immagini privilegiate resteranno bruciate dalla precoce promozione a motivo letterari, mentre le immagini che hai voluto tenere in serbo, magari con la segreta intenzione di servirtene in opere future, deperiranno, pechè tagliate fuori dall'integrità naturale della memoria fluida e vivente. La memoria -o meglio l'esperienza, che è la memoria più la ferita che ti ha lasciato, più il cambiamento che ha portato in te e che ti ha fatto diverso-, l'esperienza primo nutrimento anche dell'opera letteraria (ma non solo di quella), ricchezza vera dello scrittore (ma non solo di lui), ecco che appena ha dato forma a un'opera letteraria insecchisce, si distrugge. Lo scrittore si ritrova ad essere il più povero degli uomini. [...]

Un libro scritto non mi consolerà mai di ciò che ho distrutto scrivendolo: quell'esperienza che custodita per gli anni della vita mi sarebbe forse servita a scrivere l'ultimo libro, e non mi è bastata che a scrivere il primo".

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